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AUTORE: don PIETRO DA VERONA
Pillolal n.1 - CELIBATO SACERDOTALE - PRIMA PARTE
Cosa dice la Sacra Scrittura
Al contrario di quanto si legge o si ascolta in giro, il celibato sacerdotale non è nato da una legge inventata novecento anni dopo la morte di Cristo. Ma è una legge evangelica voluta dal Signore Gesù. In Matteo Egli afferma (Mt 19,29): "... Chiunque abbia lasciato nel mio nome case o fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi, otterrà cento volte di più e la vita eterna". Allo stesso modo l'Evangelista Marco scrive (Mc 10,29): «In verità, vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto...". In modo più preciso (Lc 18, 29 ss): «In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora, in cambio molto di più, I redattore dei Vangeli, scritti tra il 40 il 70 dC, si sarebbero compromessi si sarebbero sostituiti fatto dire al Signore parole alle quali poi non corrispondeva la loro condotta di vita. Il Signore Gesù, infatti, vuole che chi prende parte alla sua missone adotti anche il suo stile di vita. Tuttavia San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (9,5) scrive: "Non sono libero? Non sono un apostolo? ... Non abbiamo il diritto di mangiare e bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, esattamente come gli altri apostoli ei fratelli del Signore e Cefa? Dovremmo essere solo io e Barnaba a dover rinunciare al diritto di non lavorare?". Queste domande e affermazioni sembrano dare per scontato che gli apostoli fossero accompagnati dalle rispettive mogli. Anzitutto le domande retoriche di San Paolo si rivelano al diritto che possiede colui che intraprende la missone di annuncio del Vangelo. Ovvero il diritto di vivere a spese della comunità, e questo vale anche per chi lo accompagna. Ed è qui che sorge il probelma, su chi sia questo accompagnatore. L'espressione "donna credente" è la traduzione greca di "adelphén gynaìka". Quest'espressione necessita di una spiegazione. "Adelphe" significa sorella. E qui per sorella nella fede si intende una cristiana, mentre "Gyne" indica una donna in modo generico, sia essa vergine, moglie o sposa. Insomma un essere di sesso femminile. Questo rende perciò impossibile dimostrare che gli apostoli fossero accompagnati dalle mogli. Perché, se così fosse, non si capisce perché si parli di sorella cristiana invece che direttamente di moglie. Riguardo alla moglie di San Paolo, l'apostolo l'ha lasciata nel momento in cui è diventato discepolo. Ancora San Paolo richiama al celibato o all'astinenza coniugale (1. Cor. 7, 29 ss): "Perché io vi dico, fratelli: il tempo è breve. Per questo, chi ha una moglie deve in futuro comportarsi come se non ne avesse una...". E ancora: "Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore; vuole piacere al Signore. L'ammogliato si preoccupa delle cose del mondo; vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due". È palese che l'apostolo si riferisce ai vescovi, ai sacerdoti ma anche a se stesso, per attenersi a questo ideale. Ci sono poi le lettere a Timoteo e Tito, che vengono utilizzate per dire che il celibato non era ancora conosciuto nella chiesa apostolica. Nella prima lettera a Timoteo (3,2) leggiamo che si parla di un "vescovo sposato" ed erroneamente viene inteso come un precetto. E così anche nella lettera a Tito si legge: "Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola...". Queste sono in realtà indicazioni per escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote o vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato. Perché spesso un uomo così, non poteva osare alcuna garanzia di rispettare l'astinenza, alla quale i pastori dovevano votarsi. E così anche nella lettera a Tito si legge: "Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola...". Queste sono in realtà indicazioni per escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote o vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato. Perché spesso un uomo così, non poteva osare alcuna garanzia di rispettare l'astinenza, alla quale i pastori dovevano votarsi. E così anche nella lettera a Tito si legge: "Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola...". Queste sono in realtà indicazioni per escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote o vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato. Perché spesso un uomo così, non poteva osare alcuna garanzia di rispettare l'astinenza, alla quale i pastori dovevano votarsi.
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Pillola N.2 - CELIBATO SACERDOTALE - SECONDA PARTE
La chiesa dei primi secoli
In origine il celibato non significava lasciare la vita famigliare, ma certamente quella coniugale e per tale motivo si dava la preferenza all’ordinazione di uomini di età più avanzata. Questa pratica è ampiamente testimoniata da autori di peso come Clemente di Alessandria o Tertulliano, vissuti nel 200 d.C. ma anche dai cosidetti atti degli aposoli apocrifi, composti nel II secolo.
Nel III secolo, soprattutto in oriente, si trovano moltepolici documenti letterari sull’astinenza dei presbiteri. Come per esempio questa citazione presa dalla cosiddetta didascalia siriaca: “Il vescovo, prima di essere ordinato, deve essere messo alla prova, per stabilire se è casto e se ha educato i suoi figli nel timore di Dio”. Così anche Origene di Alessandria (†253/’54) spiega e approfondisce in diverse opere il celibato di astinenza vincolante.
Tuttavia la prima legge conosciuta in asoluto sul celibato fu quella dettata dal Concilio di Elvira del 305/’06 che da a questa pratica di origine apostolica una forma di legge. Con il Canone 33, il Concilio vieta ai vescovi, sacerdoti, diaconi e a tutti gli altri chierici rapporti coniugali con la moglie e vieta loro altresì di avere figli. Perciò ai tempi si pensava dunque che astinenza coniugale e vita familiare fossero conciliabili.
Anche San Leone Magno, attorno al 450 scriveva che i consacrati non dovevano ripudiare le loro mogli. Dovevano restare insieme alle stesse, ma come se “non le avessero” (1 Cor 7,29).
Certamente con il passare del tempo, si tenderà ad ordinare solo uomini celibi e la codificazione arriverà nel medioevo, dove ormai si dava per scontato che i pastori fossero celibi. Certamente poi nella pratica (dalle origini come anche oggi) questa disciplina canonica non era purtroppo vissuta da tutti. Perciò il celibato ha conosciuto nel corso dei secoli alti e bassi.
Nel XI secolo, sotto la riforma gragoriana, ci fu una spaccatura; soprattutto nella chiesa tedesca e francese, contrarie al celibato. Queste cacciarono i vescovi che tentavano di imporre questa disciplina e manacciarono di morte gli invitai papali. Tuttavia la riforma riuscì a imporsi e si ebbe così una rinnovata primavera religiosa.
Possiamo notare come la contestazione del celibato vada di pari passo con la decadenza della chiesa, mentre quando vi è una crescita e una nuova fioritura questa disciplina si rafforza. Possiamo perciò paragonare quest’osservazione a quello che sta accadendo oggi nella chiesa.
La chiesa d'oriente
Spesso si pone la domanda sul perché nella chiesa cattolica orientale sia permesso il matrimonio ai sacerdoti, a patto che siano sposati prima di ricevere l’ordnazione. Ma non lo ammette ai vescovi e ai monaci. E dunque c’è chi si chiede se questa pratica non possa essere adottata anche nella chiesa latina.
La pratica del celibato fu ritenuta vincolante proprio ad oriente, tuttavia durante il concilio del 691 (Quinisextum o Trullanum), infulenzati dall’Imperatore, i padri conciliari giunsero alla rottura con il dettato apostolico sul celibato. Infatti era già evidente la decadenza religiosa e culturale del regno bizantino. Questo concilio però non fu mai riconosciuto ufficialmente dai papi. Ed è proprio da allora che risale la pratica descritta sopra della chiesa d’oriente.
In seguito a partire dal XVI secolo e successivamente, diverse chiese ortodosse tornarono alla chiesa d’occidente. Perciò a Roma si pose il problema del clero sposato di quelle chiese. Per il bene e l’unità della chiesa, i vari papi decisero di non pretendere dai sacerdoti ritornati alla chiesa cattolica alcuna modifica del loro modo di vivere.
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Pillola n.3 - CELIBATO SACERDOTALE - TERZA PARTE
L’eccezioni oggi
Su questa stessa motivazione si fonda la dispensa dal celibato concessa, a partire da Papa Pio XII, ai pastori protestanti che si convertono alla chiesa cattolica e che desiderano essere ordinati sacerdoti. Questa stessa regola è stata applicata anche da Papa Benedetto XVI ai prelati anglicani che desiderano unirsi alla chiesa cattolica. Con quese concessioni, la chiesa riconosce a questi uomini il loro arduo cammino di fede e conversione alla vera chiesa. È dunque il sommo bene dell’unità della chiesa, che giustifica queste eccezioni.
La Chiesa può essere autorizzata a rinunciare a un precetto apostolico?
È una domanda che ciclicamente viene presa in considerazione nella storia della Chiesa. Alcuni credono che questa decisione debba essere affrontata in un nuovo concilio, pensando che almeno per alcuni si potrebbe allentare l’obbligo del celibato, se non addirittura abolirlo. Ma se così fosse, resta il fatto dell’elemento vincolante della tradizione apostolica. Inoltre verrebbe a giustificarsi qualsiasi cambiamento, lecito o meno, in nome di una decisione presa da un qualsiasi concilio.
Per superare questa questa disputa sul celibato occorre affrontare e riscoprire in modo serio l’identità sacerdotale voluta da Cristo. Se si comprende che il sacerdozio non è una funzione di servizio a nome della comunità, ma che il sacerdote (in forza del sacramento) insegna, guida e santifica in persona Christi, tanto più si deve comprendere che per tale motivo egli assume anche la forma di vita di Cristo.
Concludendo, per chi ha una visione distorta e secolarizzata della fede cattolica, sia il celibato sacerdotale che la verginità in nome del Regno dei Cieli, resteranno sempre qualcosa di irritante e incomprensibile. Tuttavia il Signore Gesù ci rassicura dicendo: “Chi può capire, capisca” (Mt 19, 12).
FINE
Pillola n.4 - SACRALITA' E BELLEZZA NELLA SANTA MESSA...MA QUELLA DI SEMPRE!
La sacralità e la bellezza della forma cosiddetta straordinaria o rito antico, la troviamo anzitutto nei libri liturgici perché essi ci aiutano a porre al centro della nostra lode la Santissima Trinità e ci mostrano la reale presenza di Dio.
Essi hanno una ricchezza teologica, apostolica e patristica contenuta nelle orazioni, nelle letture e nei prefazi che ci permette di entrare nella Tradizione viva della Chiesa. Ma anche attraverso gesti, segni e simboli contenuti in questi libri noi entriamo nel sacro e nel bello. Pensiamo per esempio alla lingua latina, lingua sacra per la Chiesa; alla musica sacra con il canto gregoriano.
Due momenti contenuti nel messale di San Pio V esprimono in modo eminente questa sacralità e bellezza. Il primo è il momento della preghiera del Canone, quando nel silenzio più totale e profondo il cielo si unisce alla terra e avviene un’elevazione spirituale che è espressa anche mediante i gesti dell’elevazione delle Sacre Specie e dei paramenti sacri. Il secondo momento lo troviamo nella ricezione della Sacra Comunione, quando i fedeli si accostano in ginocchio e ricevono in bocca il Corpo del Signore. In quel momento il sacerdote dice loro le parole più belle che si possano augurare ad un uomo: “Corpus Domini nostri Jesu Cristi custodiant animam tuam in vitam aeternam. Amen”.
Certamente la forma cosiddetta extraordinaria, riesce con più facilità a far elevare la mente e i cuori al Signore perché fa in modo che la personalità del sacerdote si “annulli” conformandosi alla volontà di Cristo e della Chiesa.
Al contrario della forma ordinaria, che come celebrata oggi in molte chiese, pone al centro dell’attenzione il sacerdote, più volte e in più occasioni. Possiamo perciò dire che la liturgia antica è sacra e bella perché ci mostra più chiaramente la presenza di Dio.
“L’oblazione è la medesima, chiunque sia l’offerente, o Paolo o Pietro; quella stessa che Cristo affidò ai discepoli e che ora compiono i sacerdoti: questa non è affatto minore di quella, perché non gli uomini la fanno santa, ma colui che la santificò. Come le parole che Dio pronunziò, sono quelle stesse che ora il sacerdote dice, così medesima è l’oblazione” (Giovanni Crisostomo, Epistularium II ad Timotheum, 2,4).
Perciò la bellezza e la sacralità della liturgia non dipende da noi. Non siamo noi che santifichiamo la liturgia, ma è lei che santifica noi mediante la sua intrinseca santità. Nell’usus antiquor si percepisce più chiaramente che la Santa Messa è vero sacrificio e presenza reale. Quando pensiamo alla bellezza della liturgia antica, come non pensare alla cultura cristiana che essa ha prodotto, nella musica, nell’arte e nell’architettura.
Se oggi pochi sono coloro che frequentano le nostre chiese per le celebrazioni, quanti invece sono i turisti che accorrono da tutto il mondo ad ammirare le opere d’arte in esse contenute e che hanno formato e dovrebbero ancora formare oggi le persone alla retta fede cattolica. “In questo modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni” (Motu Proprio Summorum Pontificum).
Non basta perciò indossare un camice di pizzo e una pianeta ricamata per mostrare la sacralità e la bellezza della liturgia. In realtà per mostrare tale bellezza e sacralità, si potrebbero usare un semplice camice di lino e una casula decorosa, ma ciò che rende sacro e bello è l’utilizzando del messale di San Pio V.
Infatti la vera ricchezza che porta al Sacro e ci mostra il Bello, con la “B” maiuscola che è la persona di Gesù Cristo; è racchiusa innanzi tutto nei tesori, della tradizione apostolica e patristica, contenuti nei libri liturgici anteriori alla riforma del Concilio Vaticano II.
In sintesi il cosiddetto rito antico o Messa di sempre, mette in risalto che la grandezza della liturgia consiste non nell’offrire un interessante intrattenimento spirituale, ma nel farsi toccare dal Mistero di Dio. La custodia della bellezza, della sacralità e aggiungerei della dignità nella liturgia, sono dimensioni essenziali del rito e ci aiutano a crescere nella contemplazione del mistero dell’unico sacrificio di Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza.
Pillola n.5 - IL SEMPRE ATTUALE MESSAGGIO DI FATIMA - PRIMA PARTE
“Dio mio! Credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano”.
Queste parole dell’Angelo ai pastorelli di Fatima ci spronano a risvegliare in noi la fede. Perché la virtù della fede è come una lampada che seza olio si spegne. Da chi possiamo imparare la fede? Non esiste modello più bello di Maria. Scrutiamo Maria Santissima per imparare da Lei il segreto della fede.
Ella ci ricorda che l’orizzonte della nostra vita non è quello terreno, bensì quello celeste. Dobbiamo riflettere sulla realtà dei nostri tempi. Oggi le cose che riguardano Dio, non sono avvertite e se lo sono non sono avvertite come urgenti e primarie. Occorre dunque mettere nuovamente in risalto la centralità del mistero di Dio e di Cristo Salvatore, nella sacra liturgia come nella vita di ogni cristiano.
In quest’anno centenario delle apparizzioni della Madonna di Fatima dobbiamo riaffermare che il suo messaggio è quanto mai attuale perché ci parla della salvezza, ci parla della converisone, della fiducia e della potenza misericordiosa e misteriosa di Dio. Il mondo in cui viviamo è un mondo alieno da tutto questo, e per tale motivo infinitamente triste. Colpito dal relativismo, dal secolarismo, dall’egoismo e purtroppo tutto questo è permeato pure nella stessa comunità cristiana. In un mondo che continua ad essere ferito dalla violenza e contaminato dal male. “Non abbiate paura… Dite il Rosario ogni giorno, per ottenere la pace del mondo e la fine della guerra”.
Il messaggio di Fatima risponde a questa desolazione del mondo con la forza della preghiera, ed in partiolare con la recita del Santo Rosario, con la devozione al Cuore Immacolato di Maria, con la penitenza. Ma soprattutto con l’offerta di sé stessi per la redenzione dei peccatori.
Non solo al mondo danno fastidio, le parole: conversione, espiazione, redenzione, peccato e penitenza. Ma molto spesso e non di rado danno fastidio anche a certi, fedeli, sacerdoti e persino vescovi. Queste parole non si sentono molto spesso, specie nella predicazione e nel linguaggio comune dei cristiani. Ma queste parole sono essenziali, fondamentali ed incancellabili per l’annuncio dell’unico vero Vangelo di Gesù Cristo.
Perciò come ci diceva Papa Benedetto XVI: “La più grande persecuzione della Chiesa, non viene dai nemici esterni, ma nasce dal peccato degli uomini di chiesa, perciò essi più degli altri hanno bisogno di rimparare la penitenza, di accettare la purificazione”.
Non possimo ignorare che la nostra Madre Celeste ha voluto apparire a Fatima, come a Lourdes a dei bambini, ed a dei bambini poveri.
Qual è il significato di questo fatto?
La risposta è che la Madonna ha voluto rivelarci il segreto del suo Cuore Immacolato. E qual è il segreto del Cuore Immacolato di Maria?
È niente altro che il Vangelo, il Vangelo annunciato ai semplici e ai poveri. Ma quale vangelo? Il Vangelo senza compromessi, snenza alcun accomodamento con lo spirito del mondo. Il Vangelo di Gesù Cristo è aperto a tutti i cuori ma non è aperto alle opinioni o alle correnti di pensiero (che per esempio pensano che tutte le religioni siano equivalenti, o che credono che non esistano norme morali assolute a cui la coscienza dell’uomo è vincolata sempre e per sempre).
Il Vangelo è la buona notizia che la salvezza è giunta in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. E il Vangelo porta con sé la dottrina vera, che illumina la vita, e la verità, che è sapienza e santità di vita.
A questo annuncio l’uomo deve rispondere con la conversione della vita per ottenere il dono della salvezza.
I tre pastorelli di Fatima hanno preso talmente sul serio questo annuncio del Vangelo che ogni giorno essi offrivano sacrifici per la conversione dei peccatori, proprio come l’Angelo gli aveva suggerito di fare: “Offrite costantemente all’Altissimo preghiere e sacrifici”. E ancora: “Accettate e sopportate con sottomissione la sofferenza che il Signore vi manderà”.
Qual è l’universale invito anche per noi oggi? Mentre rendiamo grazie per l’avvenimento mariano delle apparizioni di Fatima. Il pressante invito è quello di accogliere con gioia il mistero della salvezza, ma anche le realtà spirituali della penitenza e della conversione nella nostra vita e nel nostro apostolato cristiano. Queste realtà sono presenti nella croce di Gesù Cristo, che noi professiamo come unico vero Dio e unico Salvatore del mondo.
Dal “sì” di Maria la storia dell’umanità è cambiata e per questo noi siamo qui per ringraziarla e a prenderela come modello di vita. Tuttavia il Signore bussa anche a ciascuno di noi. Ognuno di noi è chiamato a fare la volontà di Dio. Ma se noi non rispondiamo alla chimata del Signore, non solo ci assumiamo questa grande responsabilità. Quando diciamo “no” a Dio, noi diciamo no alla vita. Se oggi prevale la cultura della morte è perché noi escludiamo dalla nostra vita Dio.
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Pillola n.6 - IL SEMPRE ATTUALE MESSAGGIO DI FATIMA - SECONDA PARTE
Ma domandiamoci come Maria abbia potuto pronunciare il suo “si”. Anzi tutto perché era umile, non era orgogliosa, si è fidata di Dio. Quant’orgoglio nei nostri cuori che ci impedisce di dire il nostro quotidiano “sì” a Dio.
Il Santo Curato d’Ars ebbe a dire che: “Come il sale sta in tutti gli alimenti, così l’orgoglio è la radice di tutti i nostri peccati”.
Chiediamo al Signore il dono dell’umilità così da dire con più faclità il nostro “sì” a Dio secondo la sua volontà e così cantare anche noi in enterno il nostro Magnificat.
Dice Sant’Agostino: “Se secondo la carne una solo è Madre di Cristo, secondo la fede ogni anima genera Cristo”.
Dobbiamo credere fermamente, sempre alimentare la nostra fede!
La Chiesa non è nostra, e neanche del Papa. La Chiesa è di Cristo e Lui solo la tiene e la conduce in modo indefettibile anche attraverso i periodi più oscuri di crisi, come appunto nella nostra attuale situazione.
È una dimostrazione del carattere divino della Chiesa. La Chiesa è essenzialmente un mistero, un mistero soprannaturale, e non possiamo avere con essa lo stesso approccio che possiamo avere con un partito politico o una società puramente umana. Nello stesso tempo, la Chiesa è umana ed al suo livello umano oggi sopporta una passione dolorosa, che la rende partecipe della Passione di Gesù.
Si può pensare che oggi la Chiesa è flagellata come Nostro Signore, è spogliata come lo è stato Nostro Signore, alla decima stazione della Croce. La Chiesa, nostra Madre, è tenuta legata non solo dai nemici di Gesù ma anche da alcuni suoi collaboratori.
Noi tutti figli della Madre Chiesa, come soldati valorosi, dobbiamo cercare di liberare questa Madre, con le armi spirituali della difesa e della proclamazione della Verità, col promuoere la sacra liturgia, l’Adorazione Eucaristica, e la preghiera del Santo Rosario, la lotta contro il peccato nella nostra vita privata e l’aspirazione alla santità.
Nell’enciclica Ingruentium Malorum di Papa Pio XII sulla recita del Rosaraio Mariano così scriveva: “Non esitiamo quindi ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza da Noi riposta nel santo rosario, per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con la umana potenza, ma con l'aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale, ripetendo contro di lui le parole del pastore adolescente: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con lo scudo: ma io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti ... e tutta questa moltitudine conoscerà che il Signore non salva con la spada, né con la lancia» (1 Re 17, 44.49)”.
La Chiesa così ha pregato fin dai tempi antichi: “Rallegrati, o Vergine Maria, perché da sola hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero” (Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo).
Celebrando il grande mistero delle apparizione di Maria Santissima ai pastorelli di Fatia. Dunque come non pensare a quel Cuore Immacolato di Maria, di cui la Madonna stessa ebbe a dire: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà”. Perciò è a Maria che noi ci affidiamo, è a Maria che noi affidiamo il trionfo della Santa Chiesa!
Oggi più che mai dobbiamo confidare nella protezione di Maria, perché i giorni che stiamo vivendo sono terribili e il Signore ci sta mostrando quanto male ci sia in questo mondo a causa dei nostri peccati.
Occorre confidare nel Signore in questa confusione in cui non si riesce più a guardare con coraggio a combattere le insidie del Demonio che ammorbano il mondo e anche la Chiesa. Perciò dobbiamo confidare e prendere esempio dai Santi che ci hanno preceduto, che ci hanno insegnato la carità della verità, combattenda la buona battaglia della fede. Occore amare sempre più la Verità, testimoniarla sempre di più. Non c’è carità senza verità, sarebbe ipocrisia una carità senza la verità di Cristo, che è l’unica verità che salva.
Il trionfo che la Beata Vergine Maria ci ha promesso deve essere preceduto dalla penitenza e dalla intensa preghiera. Oggi è certamente un giorno di festa, ma la Madonna ci ricorda che innanzi tutto occorre fare penitenza, perché ancora questo trionfo del Cuore Immacolato di Maria non è ancora avvenuto.
Il Signore opererà la sua salvezza solamente tramite una Chiesa crocifissa!
Come anche Maria Santissima ebbe a dire ai pastorelli: “Avrete molto da soffrire ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto”.
Perciò dobbiamo stringerci alla passione di Cristo per combattere il male. Spesso oggi si è scioccamente e superficialmente ottimisti, si chiudono gli occhi di fronte al male. Il male esiste! Ma noi sappiamo bene che il Demonio riesce a compiere il male, a fare stragi, perché si traveste da angelo di luce, ci propone un apparente bene.
Perciò noi cristiani, non dobbiamo sottometterci all’omicida della anime umane, ma dobbiamo sempre più imparare a combattere queste false proposte di bene con le virtù che sono dono di Dio mediante la sua Grazia. Non solo coltivare le virtù morali, ma anche quelle intellettuali.
Quanti cristiani pensano che essere imprudenti e superficiali sia un punto di merito.
I Santi sono sì innocenti come i bambini ma sono acuti come i serpenti. Perciò bisogna aprire bene la nostra vista per scorgere gli errori ed evitare di essere schiacciati dai vizi e dalle tentazioni.
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Pillola n.7 - IL SEMPRE ATTUALE MESSAGGIO DI FATIMA - TERZA PARTE
In questa lotta ci viene in aiuto Maria. La Santa Madre di Dio, è la nostra guida, la nostra consolatrice e tutte le anime che sentono la presenza di Maria sono anime privilegiate dal Signore. La regalità di Dio è Maria che ce la rivela, ce la ricorda. Ed è Maria che ci conduce a riconoscere in Dio il nostro Padre.
Questo diceva San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo stupendo Trattato della vera devozione a Maria Vergine.
Questo trattato scritto in tempi difficili per la Francia, in cui vi era la piaga del giansenismo, divenne strumento per i cattolici per fare di Maria Santissima lo scudo del cattolicesimo e della nostra santa fede, contro le predicazioni protestanti.
San Luigi, mediante il suo apostolato mariano difese molte anime, perché la Santa Vergine Maria è lo scudo e la difesa dell’anima nostra. Infatti parafrasando ciò che disse San Cipriano sulla Chiesa, certamente possiamo dire che nessuno ha Dio per Padre se non ha Maria per Madre.
Quante anime smarrite in questi tempi e per loro bisogna molto pregare, amare queste anime con l’ardore apostolico, pensiamo ai grandi santi della storia della Chiesa. Quanti digiuni e preghiere, quante notti insonne passate a pregare per la salvezza della anime. Pensiamo alla bellissima figura del Santo Padre Domenico; egli che passava le notti in preghiera e penitenza ripetendo più volte: “Che ne sarà dei peccatori”.
Quante anime perse, oggi dicono, credo in Dio, in Gesù, ma non nei preti, non nella chiesa. Non c’è da credere ai preti in quanto uomini, ma c’è da credere nei preti membri della Chiesa di Cristo, al ministero apostolico. Occorre aiutarle ad andare oltre la fragilità umana e far vedere le cose sante di Dio.
Chi se la prende con la Chiesa se la prende con Dio stesso, perché come diceva San Cipriano: “Non può avere Dio per Padre, chi non ha la Chiesa per Madre”.
Maria Santissima è segno di sicura speranza anche in questi tempi così lontani da Dio. Pensiamo al titolo di Maria Stella Maris, stella del mare in questo mare in burrasca. Lei ci indica la strada sicura, affidiamoci dunque alla Vergine Santa!
Sempre San Luigi Grignion de Montfort dice: “Volete sapere che è un buon cattolico per distinguerlo dagli eretici? Chiedetegli cosa ne pensa di Maria. Volete sapere chi è predestinato alla gloria del cielo? Chiedetegli ancora cosa ne pensa di Maria”.
Solo Dio sa chi sia predestinato alla vita eterna, tuttavia ci sono alcuni segni cosidetti di predestinazione. Tra questi segni c’è certamente la devozione profonda e sincera a Maria Santissima. Un’anima che ama Maria è un’anima che è presa e afferata da Dio e dalla pienezza della fede cattolica.
Sempre Papa Pio XII così scriveva: “L’essenza della devozione a Maria consiste in primo luogo in un sentimento filiale, che cerca di contraccambiare in qualche modo il suo amore di madre. Ma la venerazione non sarebbe sincera, la confidenza non sarebbe veramente profonda e l’amore non andrebbe oltre il sentimento e le parole, se l’anima che si dice devota di Maria, non si studiasse di imitarne le virtù, di ritrarne in sé la vita”.
Maria piena di grazia, perché non ha mai conosciuto il peccato, l’Immacolata. Questi due misteri, la pienzza di grazia e l’Immacolata, illuminano l’unico mistero di Maria al quale dobbiamo conformarci: il contrasto assoluto con il peccato.
Maria Immacolata è talmente nemica del peccato, da non averne mai conosciuto il contagio.
Occore perciò consacrarci a Maria Santissima. E questo cosa comporta? Anzitutto l’offerta di noi stessi a Dio tramite Maria. Ella ci invita ad imitare le Sue virtù. Non ha senso pregare e digiunare, se uno non si da sinceramente da fare per imitare la Vergine. Questo senza dubbio non è facile, ma occorre anche farsi coraggio, perché Maria è anche l’espressione più sublime della misericordia di Dio. Quanto è bella la devozione a Maria che copre i suoi figli col suo manto prezioso.
Maria vuole che ci consacriamo a Lei, perché sia Lei ad aiutarci a camminare e progredire nella virtù, a non aver paura nemmeno dei nostri difetti e fuggirli con tutte le nostre forze; ma nel contempo dobbiamo avere sempre speranza e fiducia in Dio che sempre ci perdona se siamo pentiti.
“Il mio Cuore Immacolato sarà tuo rifugio, ed il sentiero che ti condurrà a Dio”. Così la Santa Vergine si rivela ai pastorelli di Fatima.
Rifugiamoci dunque nel Cuore Immacolato di Maria, lasciamoci ricoprire dal suo manto che ci protegge e ci nasconde dagli occhi del Maligno. Rifugiamoci in Lei e consacriamoci a Lei in attesa di potere dimorare un giorno, tramite la Sua intercessione, sotto il suo manto regale presso la Santissima Trinità nella vita eterna.
FINE





Pillola n.1 - MA DA DOVE NASCE TUTTA QUESTA FLUIDITÀ?
Mai come in questa nostra sciagurata epoca imbevuta di molto ateistico Modernismo, mai, dico, è imperversata e tuttora imperversa la fluidità tra essenze, essenze che però dovrebbero restare, se pur spesso tra loro complementari, tra loro ben distinte, se non si vuole inimicarsi Dio, sicché ci troviamo oggi in una generale e molto peccaminosa fluidità di cui quella detta di genere non è che l’espressione più appariscente e traumatica, perché con essa l’uomo non vuol riconoscere la realtà del genere sessuale ricevuto da Dio, ossia niente di meno che la propria identità, ma, rifiutando quella determinatagli dal Creatore, la vuol scegliere e correggere a proprio capriccio. Nel suo disumano e raccapricciante orrore però, parrà strano, essa non è ancora la più grave: come ora si vedrà, vi è di peggio.
C’è infatti da considerare anche la fluidità, cioè il non essere, del matrimonio civile, che oggi, soppiantando il vero e unico vincolo benedetto dal Signore e dalla Chiesa, va dalla semplice e neanche ufficializzata convivenza di due “compagni”, il cui genere sessuale è anche qui ormai del tutto casuale e imprevedibile, al transito divorziale da uno all’altro partner, transito anch’esso sempre del tutto a capriccio, quasi che il convivente di turno sia semplicemente una tra le più varie pietanze di un interminabile pranzo di cui ben satollarsi in una lunga poligamia di fatto che si rivela più ingegnosa di quelle codificate da nozioni religiose, per esempio, tra le più note, la mussulmana.
Non solo, perché la fluidità divorzial matrimoniale vuol presentarsi per quel che certo non è, ossia come un gran bene sentimentale, un vero tesoro affettivo, perché trasformerebbe quella che agli occhi dei più è visto oggi come il secco esclusivismo dell’eternante, noiosa e alla fin fine sempre più rugosa e malandata unione sacramentale (ma quanto si sbagliano!), in una moltiplicata, allegra e sempre più inaspettata fioritura di affettuosità di una simpatica e mai definitiva “famiglia allargata”, e allargata a piacere, e qui si sbagliano ancor di più, perché con la fluidificazione della cellula base della società e il suo sovrappopolamento affettivo per spurie aggregazioni colloidali si perderanno presto le linee genealogiche famigliari, e con esse la chiarezza necessaria alle linee ereditarie, da cui si avrà una litigiosità economica, giuridica, sociale, e specialmente affettiva, irrefrenabile, e, quel che è peggio, una fuga dalla Chiesa, come sta già avvenendo, che tutto ciò avverserebbe con i più santi, vivi e ragionevoli argomenti, sennonché oggi, e vedremo prossimamente perché, essa, davanti a tanta fluidificante e sempre più liquida situazione, ingolfata com’è nel Modernismo più sfacciato, è incomprensibile e ambigua come mai prima.
Da qui, poi, abbiamo a cascata la fluidità, cioè il non essere, della genitorialità, per la quale, travasando in algidi freezer, anonime fiale e asettici bisturi quelli che fino a ieri erano semplicemente i due elementi fisiologici di base, stupendamente complementari, della forse anche voluttuosa ma comunque ben felice e amorosa conclusione di sentimenti forti, ragionati, seri e ben dichiarati, nonché benedetti da Dio, parlo dei due nascosti ma vivi protagonisti dell’emozionante incontro di uno sposo con la sua sposa, dunque del seme maschile e dell’ovulo femminile che l’attende, ecco che questi due piccoli deuteragonisti della santa scena della vita umana destinata a dar maggior gloria a Dio, freddamente spogliati del vivo amore in cui Dio stesso li aveva con somma sapienza ad uno ad uno destinati, si spargono, si diffondono e promiscuamente si mischiano un con l’altro traversando terre, mari, oceani e continenti come vile e anonima polvere al vento: corrusca, invadente e irrefrenabile burrasca snaturante capace di rompere ogni legge, ogni diritto, ogni buon senso, frantumando il destino d’amore e magari anche di gloria cui Dio li aveva voluti e persin chiamati, pronto a suggellare il loro emozionante incontro con l’elargizione, proprio a quel piccolo, minimissimo zigote cui essi comunque davan vita, di un’anima, della sua e tutta solo sua anima razionale, l’anima di un nuovo piccolo uomo da regalare a Dio.
La chiamano maternità surrogata, ma di materno non ha niente, e va combattuta con quadrupla decisione: per il bene cioè del bambino, della madre, del padre e dell’intera società.
Per il bene del bambino, perché la madre, privando il figlio del suo latte, gli toglie e la sua personale affettività, alla quale il feto si era unito fin dall’inizio riconoscendone la persona in mille sue minime segnalazioni, e il decisivo e assolutamente in- sostituibile contributo biologico contenuto esclusivamente in quel suo latte per costruire nei giusti parametri il suo sistema immunitario, così esponendolo poi per tutta la vita alle raffiche dei virus che lo assaliranno per tutta la vita e in generale alle malattie che a questo punto potranno tranquillamente impossessarsene senza trovar più le barriere previste da madre natura. Cioè da Dio.
Per il bene poi della madre, dicevo, perché è stato riscontrato che quasi il 90% dei casi di cancro al seno è dovuto, nelle donne, al mancato allattamento; per non dire delle problematiche e delle alterazioni psichiche, ma io direi specialmente spirituali, che ovviamente si genereranno nella madre a partire dal trauma della assolutamente innaturale e ingiusta separazione.
Per il bene inoltre del padre, dello sconosciuto padre, di cui nessuno parla, ma che ha dato il suo imprescindibile contributo con atto gravemente peccaminoso, oltretutto assestando al ruolo della paternità, con tale blasfema e umiliante azione, un colpo che definire vergognoso e specialmente insano è poco.
Per il bene infine della società, che è a dire dello Stato, che in primo luogo vede disgregarsi, nella famiglia, la sua cellula base, e ciò in numero non indifferente, e tale situazione accetta supinamente, ossia colpevolmente, a partire dall’accettazione delle coppie contro natura e dunque contro Dio Creatore tanto irragionevolmente formatesi in essa.
Non è finita. Ma per ora ci fermiamo qui. Nella prossima puntata vedremo come il fiume carsico che con cotanta dirompenza fluisce tra noi ci mette davanti a straordinarie, e naturalmente sempre più anticristiane sorprese, e magari, risalendone il flusso, scopriremo finalmente anche da dove nasce, come, e perché, così da sapere come opporvisi, e, con l’aiuto di Dio, chissà: magari anche debellarlo e vincerlo.
Parvus