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Suicidio assistito, ok anche dal Friuli. Destra sempre più nichilista

bioetica eutanasia la nuova bussola quotidiana rivoluzione tommaso scandroglio Aug 14, 2023

E dopo il Veneto ecco il Friuli. Anche questa regione apre al suicidio assistito. Il copione è quello seguito nella regione guidata da Luca Zaia. Alla signora Anna, nome di fantasia, nel 2010 viene diagnosticata la sclerosi multipla secondariamente progressiva, patologia irreversibile.

Rispondendo alle richieste del Tribunale di Trieste, la Asl del Friuli Venezia Giulia, tramite la Commissione medica multidisciplinare e dopo aver verificato la sussistenza dei requisiti, indicati dalla  sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale (qui un approfondimento), affinché Anna acceda al suicidio assistito, ha espresso parere positivo. Ora la palla è passata al Comitato Etico Unico Regionale. Dopo il suo probabile assenso, l’Asl indicherà alla signora Anna il percorso che la condurrà alla tomba.

Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e avvocato che coordina il collegio legale di studio che ha supportato il caso della signora Anna e che ha curato anche i casi di suicidio assistito in Veneto, ha dichiarato: «È davvero importante il riscontro positivo della Commissione multidisciplinare della ASUGI [Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina] che, nel dichiarare sussistenti tutti i requisiti indicati dalla Consulta con la sentenza n. 242/2019, ha affermato come l'assoluta e completa assistenza da parte di terzi cui Anna è continuamente sottoposta, anche per l'espletamento delle funzioni di vita quotidiane, è un trattamento di sostegno vitale in assenza del quale non potrebbe autonomamente sopravvivere. Questo dimostra che le strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale o Regionale, indicate dalla Consulta come gli organi deputati a verificare la sussistenza dei requisiti per accedere all'aiuto alla morte volontaria assistita e che conoscono le condizioni con cui i malati si trovano a convivere quotidianamente, individuano, a seguito della verifica della condizione delle persone malate con diverse patologie e diverse condizioni di cura e assistenza, diversamente per competenza - rispetto ai giudici - che il requisito del “trattamento di sostegno vitale”, deve essere valutato fornendo una visione d'insieme più ampia e maggiormente rispondente alla reale situazione in cui i malati come “Anna” si trovano a (soprav)vivere».

Le condizioni per accedere al suicidio assistito indicate dalla Consulta sono le seguenti: «proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Come avevamo messo già in evidenza in altre occasioni, queste caratteristiche ampliano pressoché all’infinito le categorie che potranno accedere al suicidio assistito. L’irreversibilità della patologia potrebbe riguardare malattie croniche come il diabete; il dolore intollerabile può essere anche quello di carattere psicologico e il giudizio su tale intollerabilità, poi, è lasciato all’arbitrio del singolo.

In merito infine ai sostegni vitali, questi possono essere tra i più diversi: non solo nutrizione, idratazione, ventilazione assistita, ma anche pacemaker, dialisi, chemioterapie e, tra gli infiniti esempi che si potrebbero indicare, anche pastiglie per la pressione e antibiotici (ad esempio i grandi ustionati senza antibiotici rischiano di morire). Il caso della signora Anna è paradigmatico in questo senso: l’assistenza alla persona diventa un “trattamento di sostegno vitale” perché senza di essa Anna morirebbe. A rigore e in tale prospettiva moltissimi pazienti negli ospedali morirebbero senza assistenza infermieristica e quindi, stante la presenza degli altri criteri, potrebbero chiedere di morire. Parimenti i neonati, ma anche i bambini senza assistenza dei genitori morirebbero. Tutti noi, a dire il vero, dipendiamo dagli altri per la nostra sopravvivenza (in primis pensiamo ai supermercati).

Dicevamo: in Friuli si recita lo stesso copione andato in scena in Veneto. Stesso copione nei minimi particolari: come nel Veneto si sono raccolte le firme per la legge di iniziativa popolare Liberi subito che vuole rendere legge regionale ciò che ha disposto la Consulta, così si sta facendo in Friuli. L’analogia riguarda anche lo schieramento politico al governo: leghisti sia Zaia che Fedriga. Meno di un anno fa annotavamo da queste colonne che la differenza tra sinistra e destra sui temi eticamente sensibili stava soprattutto in questo aspetto: la sinistra vuole continuare a demolire l’ordine costituito; la destra conserva le macerie (vedi ad esempio Meloni e Roccella che difendono la 194 e le coppie gay), però non vuole né ricostruire né, all’opposto, continuare la demolizione. Queste due fughe in avanti, però, ci fanno sospettare che forse eravamo caduti in errore, peccando di ottimismo. Pare, infatti, che alcuni pezzi assai importanti della destra vogliano sottoscrivere l’agenda rivoluzionaria della sinistra radicale, vogliano cioè picconare anche loro l’ordine naturale. L’anti-cultura progressista, nichilista, modernista, o chiamatela come volete, pare proprio essere patrimonio di tutti.

Il veleno del relativismo è ormai bevanda dissetante per quasi tutti i politici. Il declino culturale morale è fenomeno ampiamente trasversale e l’identità destrorsa si sta fondendo e così scomparendo e dissolvendo in quella levantina. Zaia e Fedriga, che forse con questa mossa stanno già suonando un preludio ad un loro partito, hanno aperto le porte non solo all’eutanasia delle persone, ma anche a quella dell’identità culturale della destra italiana.