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"Nessun sesso, siamo belgi". Ecco il nichilismo all'anagrafe

la nuova bussola quotidiana lgbtq tommaso scandroglio Jun 29, 2023

In Belgio, dove il vice premier è un transessuale (Petra De Sutter, all’anagrafe), era in vigore dal 2017 una legge sul “cambio di sesso” che pareva all’avanguardia. Infatti per la rettificazione sessuale bastava un’autodichiarazione presso l’ufficiale di stato civile senza passare né dal chirurgo, né dall’endocrinologo per gli ormoni, né dallo psicologo. Però occorreva il benestare del Tribunale di Famiglia.

Al contrario, questa norma è sembrata alla Corte costituzionale un po’ vetusta e così ha chiesto al Parlamento di cambiarla. Allora Vincent Van Quickenborne, Ministro della Giustizia, e  Marie-Colline Leroy, segretario di Stato per l’uguaglianza di genere, hanno proposto un disegno di legge che pare scritto da un autore fantasy. Le modifiche alla legge del 2017, approvate il 14 giugno dalla Commissione giustizia della Camera e che aspettano il placet dell’Assemblea plenaria, prevedono che il “cambio di sesso”, a differenza della precedente disciplina normativa, possa avvenire un numero indefinito di volte.

In buona sostanza Mauro può diventare Maura e viceversa tutte le volte che vuole e solo recandosi all’ufficio di stato civile, nemmeno più dovendo chiedere l’autorizzazione del Tribunale di Famiglia. Dunque, per ipotesi, una persona da gennaio a giugno potrebbe essere maschio e da luglio a dicembre femmina e così ogni anno. La donna è mobil e pure l’uomo, viene da concludere. Il sesso di appartenenza diventerebbe allora come la cravatta, un accessorio che cambi a seconda dell’umore o dell’abito che indossi. Il sesso come accessorio, appunto.

La Corte costituzionale ha chiesto questa modifica in quanto l’irrevocabilità della prima scelta del “cambio di sesso” era parsa ai giudici – indovinate un po’? – discriminatoria verso quelle persone che si sentono “gender fluid” ossia ondivaghe nel tempo in merito all’autopercezione sessuale. Bloccarli nella loro prima opzione era parso un po’ troppo rigido. D’altronde se si può cambiare coniuge ipoteticamente enne volte, non si capisce perché non si possa fare lo stesso anche con il sesso. In tal modo il cambiamento di nome potrà avvenire moltissime volte ed ogni volta si potrà usare un nome nuovo di zecca. La babele dell’onomastica.

La prossima modifica già approvata dalla Corte costituzionale prevede poi il riconoscimento anagrafico delle persone non binarie, ossia di quelle persone che non si riconoscono né appartenenti al sesso maschile né a quello femminile. Pensano di essere neutre, come un foglio bianco che non è né azzurro né rosa, oppure immaginano di appartenere ad un sesso terzo, però di difficile rappresentazione. Va da sé che questa modifica risponde all’esigenza, secondo i giudici, di applicare il principio di uguaglianza anche a questi soggetti che vivono nel limbo sessuale.

All’orizzonte però c’è dell’altro. Quest’ultima riforma permetterebbe ai soggetti che si percepiscono non binari e dunque, come spiegato, terziari di apporre sui propri documenti di identità una bella X, a posto dei castranti M e F. Apriamo una breve parentesi di carattere filosofico: tutti sanno che in matematica la X indica un’incognita e dunque è parsa ai belgi, e non solo a loro, che tale lettera facesse proprio al caso di coloro i quali non sanno chi sono dal punto di vista sessuale (una X così simile all’asterisco grammaticalmente ambiguo). Un’incognita che non deve essere risolta, perché viviamo nel tempo delle domande, delle incertezze e non certo nel tempo delle risposte e della verità.

Chiusa la parentesi, torniamo agli aspetti giuridici di tale riforma: una ricaduta negativa che potrebbe nascere dall’apporre questa X su passaporto e carta d’identità (una identità mancante dell’identità sessuale, notiamo a margine) sarebbe che qualcuno potrebbe sorprendersi di quello strano simbolo e inarcare un sopracciglio. Simile eventualità è apparsa subito ai giudici come – indovinate nuovamente? – discriminatoria verso i terziari del sesso anagrafico. Allora si vocifera sempre più – udite udite – di cancellare qualsiasi riferimento al sesso, vero o percepito che sia, sui documenti ufficiali. Il sesso scomparirebbe e, prima o poi, diventerebbe irrilevante anche dal punto di vista sociale, quasi fosse accessorio alla persona, né più né meno come la misura del piede. Un mondo dove solo a presentarsi come maschio, femmina o transessuale apparirebbe vetusto, superato o addirittura politicamente scorretto perché discriminatorio verso chi è più avanti nella consapevolezza del mondo e sa che il sesso è irrilevante per la felicità della persona. L’anticultura woke griderebbe allo scandalo della supremazia sessuale.

Ecco allora che approderemmo finalmente a ciò che vogliono le lobby LGBT e, più in alto di loro, a ciò che vuole il pensiero rivoluzionario: il nichilismo sessuale. Il “cambiamento di sesso” è solo una tappa intermedia perché la meta è il nulla sessuale, ossia la cancellazione dell’identità sessuale, parte della cancellazione dell’identità personale, dell’uomo in quanto uomo. Questa dinamica sexoclastica appartiene perfettamente al processo del post umano il quale predica una fusione – e ciò che è fluido è adatto ad essere fuso – tra l’uomo e i vegetali e gli animali e le cose per finire in un uno indistinto dove ci disperderemo come ceneri al vento (e la pratica della cremazione risente di queste suggestioni).

Per farlo occorre eliminare la natura umana, cioè l’identità personale, partendo ad esempio dalle categorie maschio e femmina. Il transessualismo è una fase iniziale di questa fusione indistinta, perché vorrebbe eliminare quel confine esistente tra maschio e femmina, però è una fase imperfetta. Infatti anche la stesse categorie sessuali devono essere abbandonate perché ogni confine è un limite che opprime l’uomo. Ogni elemento identitario deve essere combattuto: meglio l’appartenenza ad una religione universale che alla religione cattolica; meglio la cittadinanza universale che l’amore per la patria; meglio il multiculturalismo che la difesa della cultura cattolica o italiana; meglio la globalizzazione che la nazione; meglio il poliamore che il vecchio e sano monoamore; meglio la promiscuità che la fedeltà; meglio le famiglie che la famiglia; meglio le provette omologhe ed eterologhe e gli uteri in affitto che l’ordinaria procreazione naturale nascente da quel monotipo che è il rapporto sessuale inventato dal poco fantasioso Dio dei cristiani. Via quindi ogni confine, ogni barriera, ogni muro, ogni perimetro, ogni contorno, ogni limite, ogni forma. Dobbiamo essere illimitati, infiniti, indistinti, indefiniti, ambigui, confusi e informali. Dobbiamo infine liberarci da tutto ciò che è, al fine di dissolverci in ciò che non è. Dobbiamo scomparire nel nulla.


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