TE

Londra, la condanna di una donna scatena la lobby dell’aborto libero

aborto la nuova bussola quotidiana patricia gooding-williams Jun 26, 2023

Nel Regno Unito la lobby abortista è tornata sul piede di guerra. Per oggi, sabato 17 giugno, il British Pregnancy Advisory Service (BPAS), il Women’s Equality Party e la Fawcett Society hanno organizzato una marcia dalle Royal Courts of Justice fino a Westminster per chiedere che in Gran Bretagna sia riformato l’Abortion Act del 1967, al grido di: “È tempo di agire adesso”. Lo scopo è rendere legale abortire in qualunque momento fino alla nascita. L’occasione di questa protesta è data da un recente caso di cronaca che ha fatto molto discutere: «Questa settimana una donna in Inghilterra è stata condannata a 28 mesi di carcere per aver interrotto la gravidanza ricorrendo a pillole abortive», si legge nel sito che pubblicizza l’evento. La donna cui si fa riferimento è Carla Foster, dello Staffordshire, che ha tolto la vita alla sua bambina procurandosi illegalmente delle pillole durante il lockdown nel maggio 2020.

Ovviamente, il comunicato dei gruppi abortisti non menziona la terribile sofferenza causata dall’aborto: né la bambina di otto mesi, chiamata Lily, uccisa e fatta nascere morta né ciò che è accaduto da allora a Carla, ancora tormentata da incubi e dal ricordo del volto di sua figlia morta dopo averla partorita. Soprattutto, la storia di Carla e quella di molte altre che hanno scelto l’aborto presentano un elemento in comune: donne alle prese con una gravidanza inattesa, che vivono situazioni disordinate, spesso da sole, in cerca di una soluzione rapida a una situazione apparentemente senza rimedio, trovandosi poi ferite permanentemente dalla morte dei loro figli.

Eppure i pochi limiti rimasti a impedire l’aborto libero vengono rimossi uno dopo l’altro e il risultato è un aumento vertiginoso del numero di aborti. Secondo le statistiche ufficiali del governo britannico, nel 2021 ci sono stati 214.256 aborti tra le donne residenti in Inghilterra e Galles, il numero più elevato da quando è entrato in vigore l’Abortion Act. Paradossalmente, l’aumento maggiore si è registrato durante la pandemia. Mentre i fondamentali diritti di ogni cittadino erano violati sistematicamente, il diritto di una donna ad abortire era uno dei pochi universalmente sostenuti. In particolare, l’introduzione degli aborti fai-da-te in casa - che in Gran Bretagna si possono ottenere facilmente con una telefonata, basandosi sulla fiducia e senza alcuna forma di controllo - hanno garantito che il servizio “sanitario” proseguisse senza interruzioni durante la crisi legata al Covid. La “pillola per posta” introdotta durante il lockdown permette di interrompere in casa le gravidanze fino a 10 settimane, dopo di che si suppone che la procedura venga portata a termine in clinica. Un metodo propagandato come un successo a tal punto che è tuttora in vigore.

Secondo un comunicato del MSI Reproductive Choices UK, uno dei principali operatori di aborti, la pandemia di Covid-19 non solo ha avuto un impatto sul numero, ma anche sul metodo per abortire. «L’aborto medico precoce a domicilio è la procedura più comune, con il 52% di tutte le donne che nel 2021 hanno abortito prendendo entrambe le compresse a casa. La percentuale di aborto medico nel suo complesso ha rappresentato l’87% degli aborti». Tuttavia, le statistiche non menzionano le donne vulnerabili e spaventate che ricorrono a un sistema con tali lacune da favorirne l’abuso. Come è anche evidente dalla storia di Carla Foster.

Carla aveva già tre figli, uno dei quali disabile, prima di trovarsi nuovamente incinta nel 2019. All’inizio del lockdown era tornata dal partner da cui si era separata, con in grembo il figlio di un altro. Soffrendo di enormi “crisi di panico”, aveva tentato di nascondere la gravidanza a entrambi gli uomini. Secondo il tribunale, tra febbraio e maggio 2020 aveva effettuato ricerche su: “Come nascondere il pancione in gravidanza”, “come abortire senza andare dal medico” e “come perdere un bambino al sesto mese”. A maggio 2020, ormai all’ottavo mese, Carla contattò il BPAS, un grande fornitore di servizi abortivi. In base alle false informazioni riferite da lei, il BPAS mandò a Carla le compresse per un aborto medico, considerandola incinta di sette settimane. In realtà, la bambina non ancora nata – chiamata Lily – era ben oltre il limite legale di 24 settimane, quando in Gran Bretagna non è più così facile abortire poiché a quello stadio è possibile la sopravvivenza fuori dal grembo. Ma durante il travaglio Carla è stata colta dal panico e ha fatto due chiamate di emergenza ai paramedici. Al loro arrivo, la bambina era già stata partorita e non respirava. Gli sforzi per rianimarla sono falliti e Lily è stata dichiarata morta 45 minuti dopo. L’autopsia ha stabilito che la bambina aveva fra le 32 e le 34 settimane e che era nata morta a causa dell’uso, da parte della madre, di farmaci abortivi. La tragica storia di Carla è diventata così di dominio pubblico.

Lunedì scorso, 12 giugno, Carla Foster è stata mandata in carcere per il suo delitto dal giudice Pepperall della Crown Court di Stoke-on-Trent. Inizialmente la Foster è stata accusata di infanticidio, accusa che ha respinto. In seguito si è dichiarata colpevole di un altro capo di imputazione (sez. 58 dell’Offences Against the Person Act del 1861), cioè di aver fatto ricorso a farmaci o mezzi per procurare l'aborto, imputazione accettata dall'accusa. Quindi è stata condannata a 28 mesi, 14 dei quali li trascorrerà in carcere e il resto in libertà condizionata.

La sentenza del giudice Pepperall (qui la proclamazione della sentenza) ha scatenato un acceso dibattito sull’aborto nel Regno Unito, dividendo l’opinione pubblica britannica tra sostenitori e oppositori pro e contro l’aborto di Carla. Ci si chiede però, come mai la lobby abortista non sia stata chiamata a rendere conto del suo ruolo nella vicenda. Al contrario, sulla scia di questa tragedia, la loro risposta è quella di marciare a Londra invocando leggi ancora più permissive per le donne che decidono di abortire il proprio bambino.

Il fatto è che tre ragazzi sono stati lasciati soli senza la madre, che una bambina è stata uccisa e che Carla, dopo che avrà scontato la sua pena, resterà a vita con il rimorso per quanto accaduto. L’aborto è la scelta della morte di un bambino da parte di sua madre. La straziante realtà è che agli abortisti piace parlare di scelta ma nello stesso tempo impediscono alle donne tutto ciò che può farle scegliere. Lo scandaloso arresto di Isabel Vaughan Spruce e padre Gough per aver recentemente pregato in silenzio ne è la prova. A nessuno importa cosa stessero pensando o cosa passasse per la loro mente, il fatto è che la loro presenza ricorda alle donne che ci sono altre possibilità che gli abortisti non vogliono.