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Alvarez scarcerato rifiuta l'esilio e torna in carcere

cristianofobia la nuova bussola quotidiana luca volontè Jul 12, 2023

Il vescovo di Matagalpa, Rolando José Álvarez è un vero testimone della fede e della libertà religiosa. Era stato rilasciato lunedì sera per ordine del presidente nicaraguense Daniel Ortega, rimasto per più di 24 ore sotto la protezione della Conferenza episcopale, nonostante ieri il card. Leopoldo Brenes lo avesse smentito. È stato riportato nella giornata di mercoledì nel carcere di Modelo per aver rifiutato l’esilio come prezzo della liberazione, come riporta il quotidiano El Confidencial.   

Fonti ecclesiastiche e diplomatiche, interpellate dal quotidiano nei giorni scorsi avevano confermato alla testata che Álvarez «non si trova più nel carcere di Modelo», dove si trovava in una cella di massima sicurezza dal 9 febbraio 2023, dopo essere stato condannato da un processo lampo a 26 anni e quattro mesi di carcere per i presunti reati di «cospirazione contro la sovranità nazionale e diffusione di notizie false». Riportava ieri l’agenzia di informazione latinoamericana Infobae che l'attivista per i diritti umani Bianca Jagger aveva riferito martedì che il vescovo nicaraguense Rolando Álvarez di Matagalpa sarebbe stato rilasciato dal carcere per essere inviato a Roma, scrivendo: «Dov'è il vescovo Alvarez? Mi hanno informato che ieri sera è stato rilasciato dal carcere 'La Modelo' e che il regime lo manderà a Roma. È vero? Álvarez ha detto che ha accettato di lasciare il Nicaragua?».  

Monsignor Álvarez era stato arrestato e trasferito a Managua nelle prime ore del 19 agosto 2022, dopo due settimane di arresti domiciliari nella Curia vescovile di Matagalpa, come abbiamo più volte descritto su La Nuova Bussola. Durante detenzione del vescovo Alvarez, la dittatura di Ortega ha mostrato pubblicamente il vescovo solo due volte. La prima è stata nel dicembre 2022, quando il presule è stato trasferito presso i tribunali del Distretto Penale di Managua, dove è stato accusato di associazione a delinquere finalizzata a minare l'integrità nazionale e propagazione di notizie false a danno dello Stato e della società nicaraguense. La seconda volta invece è stato mostrato mentre accoglieva e pranzava con i propri parenti nel carcere, in una stanza appositamente preparata per il ricco, quando incredibile, banchetto il 26 marzo scorso.   

Nelle scorse settimane, a seguito delle udienze tra il Santo Padre ed il Presidente de Diaz Canel di Cuba prima e quello del Brasile Lula da Silva poi, erano trapelate notizie, per nulla smentite dalla Santa Sede, che indicavano proprio nei due esponenti politici, vicini al regime di Ortega, coloro che avrebbero profuso l’impegno per la liberazione del vescovo Alvarez. Ci eravamo permessi allora di far notare su queste colonne come, sin dai primissimi giorni seguenti alla condanna, 11 e 12 febbraio, il vescovo Rolando Alvarez aveva più volte ribadito chiaramente che non accettava e non avrebbe acconsentito ad una liberazione che implicasse il suo esilio dal paese.  

Ieri la conferma, rilanciata dalle agenzie di stampa e testate internazionali sin dalle prime ore di questa mattina, il vescovo Rolando Alvarez «è stato riportato in prigione mercoledì dopo che i negoziati tra il governo e i rappresentanti della Chiesa si sono interrotti sui termini del suo possibile rilascio. I colloqui si sono bloccati sull'eventuale consenso di Alvarez a lasciare il Paese, nonché sul possibile rilascio di altri sacerdoti incarcerati».  

Dunque, alle voci che nei giorni scorsi lo volevano propenso ad accettare la liberazione in funzione dell’esilio dalla sua terra e dalla sua gente erano infondate e, in ogni caso, l’accettazione dell’esilio da parte di Alvarez, sarebbe stato il più grande fallimento della iniziativa diplomatica affidata da Papa Francesco ai due comunisti Lula e Diaz-Canel. Il Vescovo Rolando Alvarez ha più volte ribadito che avrebbe preferito rimanere in carcere e scontare la pena ingiusta e iniqua a cui è stato condannato a ragione della propria fede, delle libertà religiosa e quella dello stesso popolo, oppure esser liberato e proseguire la sua opera pastorale tra i suoi fedeli.  

Scappare davanti alla prova non è contemplato né nel vocabolario né della stoffa dell’abito di Rolando Alvarez. Nella Roma papalina e argentina tutto ciò avrebbe dovuto esser risaputo, anche che si predilige coltivare l’amicizia con troppe canaglie rosse latinoamericane che imprigionano e violentano quotidianamente gli oppositori dei diritti civili espellendo dall’arena politici dell’opposizione democratica e inabilitandone le candidature future.  

La scorsa settimana, il 28 giugno 2023, la Corte interamericana dei diritti umani (CIDH) aveva approvato una risoluzione che ordina alla dittatura di Ortega Murillo di rilasciare «immediatamente Rolando José Álvarez Lagos, vescovo di Matagalpa e di adottare le misure necessarie per proteggere efficacemente la sua vita, la sua salute e la sua integrità personale», garantirgli l’accesso «immediato ai servizi sanitari, ai farmaci e a un'alimentazione adeguata, nonché di facilitare i contatti con i familiari e gli avvocati» ed, infine, di fornire entro il «7 luglio 2023 informazioni sulla situazione di monsignor Rolando José Álvarez Lagos». 

Ortega e il suo regime sono interessati solo ad una cosa: espellere dal paese i dissidenti, soprattutto sacerdoti e religiose o seppellirli vivi nelle sue terribili carceri per sempre. L’ennesima prova proviene dall’espulsione delle suore della Fraternità brasiliana dei Poveri di Gesù Cristo, che domenica 2 luglio hanno dovuto lasciare il paese ed ora si trovano in El Salvador. 

Con il suo rifiuto il vescovo Rolaldo Alvarez, come altri prima di lui nella storia della Chiesa, ha mostrato la forza della testimonianza cristiana davanti alla sfida del potere che vuole ingabbiare, imbavagliare e sottomettere la libertà religiosa e della Chiesa. Egli non è fuggito davanti alla prova, lascia interdetti che il Papa e Ortega volessero invece che Alvarez si sottomettesse e cedesse alle angherie del potere.