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Onorevole Schlein, l’aborto non è un diritto!

corrispondenza romana fabio fuiano universitari per la vita Mar 10, 2023

 Il 26 febbraio scorso, alle primarie del Partito Democratico (PD), la deputata Elly Schlein ha inaspettatamente sconfitto il suo sfidante, Stefano Bonaccini, conquistando così il ruolo di Segretario del PD. Le posizioni della Schlein, già dalle premesse, si rivelano ben più estreme rispetto a quelle dei segretari precedenti. Recentemente, è stato pubblicato un articolo ricordando le sue posizioni sull’obiezione di coscienza. Tuttavia, in tale sede, ci si vuole soffermare su un suo Tweet in occasione del ribaltamento della sentenza Roe v. Wade il 24 giugno scorso. La Schlein ha affermato : «La Corte Suprema Usa ha revocato il diritto costituzionale ad abortire, cancellando la sentenza #RoeVsWade. Ora potranno decidere i singoli stati. Un salto indietro di 50 anni, un terrificante salto nel buio in cui si cancellano i diritti delle donne a scegliere sul proprio corpo».

Al di là degli slogan, è necessario comprendere meglio perché le affermazioni della Schlein costituiscono un vero e proprio errore. Non basta, infatti, ripetere uno slogan per decenni o moltiplicare il numero di voci che si levano in tal senso affinché un’affermazione intrinsecamente erronea divenga vera. Dal momento che tale errore è stato persino codificato in una legge dello Stato, la 194 del 1978, che ritiene l’aborto a tutti gli effetti un “diritto”, come già spiegato dal dott. Tommaso Scandroglio (qui e qui), urge un serio approfondimento su cosa sia davvero un “diritto”. Per farlo, è buona cosa avvalersi della sana filosofia tomista compendiata nel celebre Trattato di Filosofia ad opera del professor Regis Jolivet (1891-1966), docente dell’Università Cattolica di Lione nel 1926. Egli ha trattato espressamente il tema del diritto e del dovere (Trattato di Filosofia, Volume V, tomo I, Morcelliana, Brescia, 1959, pp. 139ss). Non potendo dare nulla per scontato, si riportano qui le definizioni di “dovere” e “diritto” (pp. 140 e 163): «Il dovere (officium), in astratto, esprime l’obbligazione, la necessità morale di fare o di omettere qualche cosa. A questo titolo, esso è l’effetto formale della legge. Concretamente, la parola dovere designa  l’azione o l’omissione alla quale si è obbligati a causa della legge […]».

«In senso lato, ciò che si chiama diritto, come nell’ordine fisico significa cammino che procede senza deviare da un punto ad un altro, così, nell’ordine morale, etimologicamente, sta a indicare ciò che fa agire l’uomo senza farlo deviare dal suo fine ultimo. In senso stretto e tecnico, la parola implica l’idea di direzione, intesa come un comando e ordine della ragione (in latino ius, da iubeo, comandare). Da questo punto di vista, il diritto è ciò che è conforme alla legge, cioè il giusto».

Prosegue Jolivet (p. 164) affermando che il diritto «[…] è un potere morale, derivante cioè dalla ragione, potere che s’impone alla volontà libera e continua a sussistere a dispetto di tutte le costrizioni fisiche che impediscono il suo esercizio, creando negli altri lo stretto dovere di riconoscerlo e di rispettarlo; d’altra parte, il diritto in senso soggettivo è anche il potere di ognuno su ciò che gli appartiene, sia che lo possegga legittimamente (il suo corpo,  l’esercizio della sua attività, i beni materiali e morali), sia che possa in qualche maniera esigerlo (a titolo, per esempio, di salario o di giusto prezzo)».

Ora, essendo il diritto una relazione ad alterum, esso ha sempre un soggetto (chi esercita il diritto) un termine (su cosa si esercita) e un titolo: «Per oggetto del diritto si designa propriamente il termine materiale(o materia) del diritto: questa materia può essere sia la sostanza, sia l’attività degli esseri. Se si tratta di creature non ragionevoli, poste al servizio dell’uomo, l’uomo può rivendicare dei diritti sia sulla loro sostanza che sulla loro attività: è il principio del diritto di proprietà. L’uomo invece può rivendicare dei diritti sull’attività degli esseri intelligenti, e non sulle loro persone, le quali non hanno altro fine che Dio. Di qui la illegittimità della schiavitù».

Il titolo del diritto, in campo morale, è «il potere di possedere, di fare o di esigere qualche cosa» e «risiede nella connessione in cui l’atto, materia del diritto, si trova con il conseguimento del fine ultimo dell’uomo» (p. 167).

Alla luce di ciò ci si può chiedere: a che titolo Elly Schlein, gli abortisti e la 194, sanciscono un “diritto” di uccidere un essere umano innocente? Perché, ad essere onesti, questo è l’aborto. Essendo il diritto un potere che ognuno di noi esercita su ciò che gli appartiene, ed essendo l’aborto un atto che per sua natura agisce su un altro essere umano che non appartiene a nessuno (nemmeno alla madre), si innesca un’evidente contraddizione. L’oggetto del diritto, come specificato sopra, può essere esercitato solo sull’attività dell’uomo, ma non sull’uomo stesso. E che il concepito sia un uomo, per quanto piccolo, è scientificamente certo. Per di più, in che modo il titolo di un eventuale “diritto” all’aborto, proprio per la natura dell’atto abortivo che si esige dal medico (ovvero la materia del “diritto”), resterebbe connesso al conseguimento del fine ultimo per la donna? In effetti, la negazione di Dio è il postulato necessario perché si accetti come “lecita” la diretta ed intenzionale soppressione di un essere umano innocente.

Tuttavia, rispondiamo con Jolivet che «essendo Dio sorgente prima dell’ordine morale, il diritto è assolutamente primo; in Dio non vi sono, che dei diritti e non dei doveri propriamente detti, o, più esattamente, Dio è il Diritto vivente ed eterno, principio assoluto di tutti i diritti. Tutti i doveri delle creature procedono necessariamente dal diritto di Dio, creatore e legislatore universale e i loro diritti sulle cose o sull’attività altrui valgono solo nella misura in cui sono espressioni o determinazioni del diritto universale di Dio» (p. 172).

Dunque, non esiste alcun diritto ad abortire (o a non abortire, come alcuni affermano), ma solo un dovere assoluto di non uccidere mai l’innocente.